giovedì 16 aprile 2020

Confessioni di un Tanatoprattore




Devo ammettere che, tra le cose che più amo, è ricevere i pensieri e le confidenze di alcune persone che, per caso o per destino, incontro nel corso del mio cammino.
Una di queste è proprio Marco, che qualche giorno fa mi diede possibilità di dar voce ai suoi pensieri, pensieri di un Operatore funebre con la O maiuscola. Pensieri di un Uomo in prima linea in questa emergenza.

Ecco, questa sera Marco mi ha fatto questo dono, un suo pensiero tanto profondo quanto delicato.
Ne faccio tesoro e ve lo porgo come fosse un fiore di cristallo.



"Il sacco.

Stiamo vivendo un momento irreale. Tutto sembrava così lontano in stile “Holliwoodiano”, poi a quarto d’ora di macchina diventò tutto paurosamente vicino. Le distanze si riducevano giorno dopo giorno. Poi una mattina ricevemmo una telefonata: il nostro primo caso di Covid 19. Eppure anche in quel momento il pericolo sembrava così lontano. Da lì il delirio. Tutto così veloce, il telefono cominciò a squillare h24. Una conta immediata dei dispositivi, ok ci sono, le casse pure, tanto quanto potrà durare ci si chiedeva. Realizzi che il virus bussa alla tua porta, tocca ovunque. Accogli le famiglie o vai a casa rischiando perché loro sono in quarantena. Appelli, annunci ecc., ma tu ci devi essere. La dignità delle persone messa a dura prova. Incredule, rassegnate a testa bassa sussurrando che il proprio caro è deceduto per un maledetto virus. Ognuno con proprio dolore con la propria incredulità tanto da chiederci una fotografia del proprio caro. Una telefonata li ha avvisati, una telefonata stanca da chi ha fatto di tutto per curare quel paziente che non ce l’ha fatta, ma consapevole di essere un professionista e quel comunicato può apparire freddo a chi lo riceve.
Una fotografia, vi prego, tu sai che non puoi fare il tu lavoro, cioè il tanatoprattore o tanatoesteta, una fotografia che rimarcherà il dolore e segnerà il futuro prossimo dei dolenti.
Poi arriviamo noi in un obitorio, siamo tutti uguali, operatori sanitari o necrofori, tute maschere guanti occhiali, siamo irriconoscibili, li vediamo stanchi a volte stremati da quel fax che annunciano un altro defunto. Non hanno più barelle, sacchi. Tu arrivi scarichi la bara, ti aiutano ad incassare il defunto e sperano che tu vada via con il feretro il prima possibile, ma le bare si accumulano, le chiese come camere mortuarie 20/40 bare in fila e nell’angolo il parroco col il suo rosario.
Finalmente arriva il giorno della sepoltura, i famigliari in quarantena non ci sono e quelli che seguono al cimitero non possono nemmeno tenersi per mano darsi un abbraccio. Ed ecco il momento difficile per me quando comunichi che hai gli effetti personali del defunto riposti in un sacco. Sacchi rossi o neri con un biglietto.
Sacchi che contengono gli effetti personali, cartelle mediche del defunto, legati con del nastro nero, uno, dieci, cinquanta sacchi sempre più pesanti, sempre più anonimi. Li porti in magazzino per restituirli ai famigliari. Alcuni arrivano subito, altri aspettano. Rimane l’ultimo, uno dei primi che arrivò in magazzino, rosso pesante rosso, lì da 20 giorni. Ogni giorno quando apro il magazzino spero che non ci sia più. Invece c’è. Arrivano continuamente bare da preparare e lui è lì a controllarti. Avverti la sua presenza, la testimonianza che tu tanatoprattore, non hai fatto il tuo dovere. Sai che non è colpa tua, ma dopo un mese ormai ci parlo col sacco, ogni giorno il suo peso aumenta. Sai che arriverà il tempo per i consulenti del lutto, per i dolenti. A noi resterà una esperienza in 3D e finalmente quel sacco se nè andato. Ora ti manca e non nascondi una lacrima, il simbolo della tua impotenza, lavorativamente parlando, del fatto che nessuno prende in considerazione che la tua esperienza, il tuo conoscere in Italia non contano, perché sei un becchino e non hai nessun diritto. Poi la tragedia diventa pandemia e i corpi si ammucchiano, i rischi crescono e il sistema va in tilt. Decreti, ordinanze, richiami di legge che si intrecciano, cambiano in poche ore. Ma tu sai ciò che devi fare. Allora si accorgono di te, ti chiedono cosa metti nella bara, perché lavori così. “Non posso dargli la giusta dignità almeno non gli do il disgusto da parte vostra”. Già operatori funebri che arricciano il naso all’odore di chi non c’è più, ai cadaveri avvolti in lenzuola e lasciati soli in ogni senso, almeno il senso del disgusto non lo devono dare a questi incompetenti. I miei non devono emanare odore. Almeno questo glielo devo perciò quel sacco non ha più peso, ma è diventato un compagno nel viaggio di ritorno al magazzino, igienizzato e profumato per rientrare nelle case da cui è partito."

Marco Caraffini, Tanatoesteta e Tanatoprattore.


Grazie.
B.

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