lunedì 1 giugno 2020

La morte nell'età Contemporanea.

Nel XIX secolo, l'emozione scaturita dal dolore della morte, propone nuove forme di espressione del cordoglio: i dolenti gesticolano, pregano, urlano e piangono, vi è un'intolleranza nei confronti dellaperdita che prima non c'era e dunque un nuovo rapporto tra il dolente e il morente.

Se prima era il testamento il mezzo attraverso cui esprimere le proprie volontà (un testamento ben diverso da quello odierno incentrato per lo più su un eredità) i propri pensieri e la propria fede religiosa, nella seconda metà del XVIII secolo avviene un cambiamento legato alle pratiche testamentarie dell'Occidente cristiano, ovvero, un testamento totalmente laicizzato, a causa dei cambiamenti intrinsechi dei rapporti familiari, con nuove forme relative all'affetto e al sentimento umano. Dunque il ruolo dei dolenti e degli astanti viene a mutare, non più figure passive e silenziose ma con consuetudini e abiti precisi e ritualizzati.
Dalla fine del Medioevo al XVIII secolo, i dolenti si vedono costretti a manifestare un lutto, per almeno un po' di tempo, ed un dolore che non sempre sentiva. La funzione del lutto aveva ed ha tutt'oggi la capacità di difendere i dolenti dagli eccessi del proprio cordoglio, attraverso l'imposizione di un determinato schema di vita sociale, basti pensare alle visite in abitazione da parte di parenti, amici e conoscenti, in tal modo senza far sfociare il dolore in qualcosa di più estremo e senza ritorno.
Dal XIX secolo, la sottile linea che si preoccupava di non fare andare "oltre" questo dolore, si spezza: il dolore si ostenta: si urla, si piange, si sviene (ricordiamoci la Taranta del Sud Italia, ad esempio). E' il secolo i cui lutti vengono definiti "isterici". Insomma, i dolenti accettano con maggiore fatica il distacco dal proprio caro, in cui si fa evidente che la morte dell'Altro significativo è ben peggiore della paura della propria morte.
In questi termini, dunque, vediamo la genesi dei nostri attuali modi di vivere il cordoglio, secondo un'ottica per la quale un sentimento nuovo, più doloroso, determina una preoccupazione da parte dei dolenti molto profonda. Ora i parenti sentono il proprio diritto di commemorare i propri morti e di poterli andare a trovare in luoghi a loro dedicati: la concessione di sepoltura è venuta a delinearsi quale peculiare forma di proprietà, un possesso perpetuo, dove il ricordo viene gelosamente custodito conferendo al defunto una sorta di immortalità.


Cimitero ebraico, Praga. Foto mia del 2008.

Ecco dunque il culto della memoria, a travolgere la società in una nuova forma di sensibilità: i cimiteri del XVIII e i loro progettisti risultano sempre più simili a parchi dove le famiglie possano sostare vicino al loro caro, e la "città dei morti", immagine atemporale della città dei viventi, riprende quel posto che aveva in qualche modo perduto agli albori del Medioevo.

Il culto dei morti, l'importanza del loro ricordo risulta ad oggi una forma importante nell'espressività del patriottismo: basti pensare ai monumenti dedicati al Primo conflitto mondiale in Francia, monumenti che anche qui in Italia rispecchiano la necessità di ricordare la Vittoria che, seppur vuoti e non vere e proprie tombe, perpetuano comunque la memoria.
Alla fine della Grande Guerra, l'arte funeraria e i cimiteri vedono una rivoluzione dal gusto squisitamente barocco: il Cimitero di Genova in Italia, le forme ottocentesche dei cimiteri francesi, le statue monumentali che sembra abbiano vita propria nel loro maestoso mostrarsi ai visitatori, immortalati in abbracci di pietra, in grida mute e agitazioni statiche.
Non dobbiamo dimenticarci che tutto questo risalto e commozione per il culto dei morti, ha una matrice positivista e non cristiana, nonostante i cattolici vi abbiano in seguito aderito e assimilato tanto da renderlo proprio.
Sarà con il XX secolo che entreremo nel vivo della pornografia della morte, di cui oggi siamo più che mai testimoni, secondo cui la morte è a noi proibita.


©Grief_and_the_Maiden


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