giovedì 24 settembre 2020

Tradizione funebre in Umbria

L'antico e profondo legame che i nostri avi avevano con la morte ci insegna molto in merito alla naturalezza attraverso cui lo stesso lutto era affrontato e vissuto.
Fase liminale in cui tutti i dolenti erano coinvolti, era imprescindibile al fine di comprendere e gestire il dolore, attraverso semplici regole legate all'abito e alle gestualità.
Il vestirsi di nero rendeva pubblico uno status, una sorta di monito alla comunità: "sono in nero, sono in lutto, non toccarmi", che comportava l'isolamento dalla vita sociale e da ogni qualsivoglia forma di contatto con gli altri.
Le vedove, ad esempio, tenevano per un tempo molto lungo la porta di casa socchiusa, e le era permesso di uscire - solo dopo il trigesimo - solamente per recarsi al cimitero o in chiesa, nulla più.
Gli uomini invece, seguivano dettami decisamente diversi come il non rasarsi (richiamando la condizione del defunto stesso), l'indossare il cappello nero e/o una fascia nera sulla manica della giacca ed un bottone, sempre nero, in segno di lutto.

La visione contemporanea ci spinge ad auspicare una morte improvvisa, preferibilmente nel sonno, così da evitare potenziali ed ipotetiche sofferenze legate al nostro decesso. 
In verità questo tipo di dipartita era fortemente - nell'immaginario collettivo più antico - definita angosciante ed ingiusta, poichè andava contro il principio di una buona morte legata ad una preparazione lunga e consapevole nei confronti del proprio decesso.
Una morte improvvisa avrebbe negato un ultimo saluto circondati dai propri cari, da parole di conforto e carezze sino all'ultimo respiro.
Una morte improvvisa avrebbe significato morire in solitudine e senza possibilità di un ultimo scambio, portando con sè le ultime volontà non espresse.
La preparazione alla morte consisteva anche nel..mettere da parte una scatola apposita per questo "grande evento", dove riporre calze nere, un velo nero, un rosario ed una croce, la biancheria intima adatta ed un abito nero di tessuto pesante, preferibilmente in seta.
La donna si prendeva cura del proprio corredo e di quello del consorte: l'abito più bello, una camicia bianca, un rosario, calze e cravatta rigorosamente neri. 
Non era altresì raro riporre del denaro in questo scatolone, per garantirsi un degno funerale e sepoltura.
Spesso abbiamo visto come il cibo sia - in determinate feste e date - il "ponte" per ricongiungersi con i propri defunti.
In questa bella Regione (si, proprio quella dei Baci Perugina!), troviamo la tradizione delle "fave dei morti", altresì conosciute come "ossicini dei morti", dalle origini molto antiche e di cui diversi esemplari sono stati trovati nelle sepolture etrusche.
In passato vi era la credenza per la quale le fave custodissero le anime dei propri cari e, per incentivarne un ritorno, vi era l'usanza di lasciarne su un piatto al di fuori dei balconi, nel caso i propri defunti avessero un languorino!
Gira in rete anche la ricetta per ricreare questi dolcetti (albume, farina di mandorle dolci o essenza di mandorla. Si, tutto qua).





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